Epilogo del Vangelo di Giovanni

 

Giovanni 20:30-31
Primo finale del Vangelo.

[20:30] Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 
[20:31] Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 


Questa è certamente la fine del Vangelo di Giovanni, secondo come era sembrato giusto all’Autore terminare il suo racconto.
E’ probabile che queste parole chiudessero l’intero Vangelo secondo la redazione attuale, dal capitolo 1 al 20.
 

Giovanni 21:1-25
Fine del Vangelo.

Qualcosa accade però che scuote profondamente l’Autore del Vangelo già scritto e terminato, e lo spinge a riprendere in mano penna e calamaio.

Riprende il racconto con le parole: μετα ταυτα (meta tauta, dopo questi fatti).
Già i capitoli 5, 6 e 7 iniziavano con queste parole inserite nella prima frase.

[21:2] si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. 

1)    Simon Pietro
2)    Tommaso
3)    Natanaèle
4)    Giacomo e Giovanni
5)    due discepoli

totale sette persone.

Gesù è sulla riva e li chiama.
Questi discepoli non lo riconoscono, né dall’aspetto [v 21:4] (in questa circostanza si può supporre che fosse lontano, ma non è questo il vero motivo), né dalla voce [v 21:5].
Gesù parla e produce un miracolo.
Gli occhi del cuore dell’altro discepolo si aprono subito, quelli di Pietro stentano.
Il primo dice a Pietro: “E’ il Signore.”
Pietro si getta nell’acqua e raggiunge la riva a nuoto, poi arrivano anche gli altri sei.

[21:12] Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore. 

Pur avendolo davanti non lo riconoscevano, è però evidente che almeno durante il pasto questo velo viene tolto.
Forse quello sconosciuto li ha chiamati per nome uno per uno, forse invece uno di loro ha avuto il coraggio di chiamare lui per nome.

Nel momento in cui Gesù rivolge a Pietro la domanda [v 21:15] le presentazioni sono già state fatte ed ogni dubbio fugato, altrimenti Pietro non avrebbe potuto dichiarargli il suo amore.
Manca un accenno qualsiasi ad alcun tipo di emozione da parte dei presenti, anche se è evidente che l’Autore avrebbe potuto scrivere un libro intero per descrivere i dettagli di quell’unico incontro, ma i dettagli non erano il suo obiettivo.

Tre volte la stessa domanda, tre volte la stessa risposta.
Qualcuno ha già notato a buona ragione che questo rito sembra la penitenza inflitta da Gesù a Pietro per il suo triplice rinnegamento.
Non che Gesù avesse bisogno di questa triplice dichiarazione, ma Pietro si!

E’ in questo momento che Gesù riconferma Pietro come Pontefice Primo, guida della sua Chiesa.

Il personaggio principale del capitolo 21 non è Gesù, ma Pietro.

L’intero capitolo è un inno a Pietro, il principe degli Apostoli, ed è stato aggiunto come preziosa postilla alla fine del Vangelo di Giovanni già terminato all’indomani della morte di Pietro, per riconfermarne il suo ruolo e la sua guida, ruolo e guida che da quel momento avrebbero preso in mano i suoi successori.

Questo sarebbe il motivo che ha spinto l’Autore ad aggiungere questa ultima parte al suo Vangelo: il martirio di Pietro.

L’Autore si premura anche di scoraggiare quanti ritenessero che dovesse essere lui la loro guida, in forza delle parole del Cristo: “Se voglio che egli rimanga finché io venga…”, come se egli dovesse vivere in eterno, ed in questo si intravedono già le divisioni sorte in seno alla nascente Chiesa delle quali parla anche Paolo, con le sue parole rivolte ai Corinzi nella prima lettera (versi 1:10-13).

Anche questo capitolo 21 fu scritto (γραωασ, grapsas  [v 21:24], proprio in senso letterale) da questo Autore, e nella redazione finale e definitiva del Vangelo di Giovanni i due discepoli ignoti ma presenti al momento di questa ultima pesca miracolosa, a conferma di quanto da lui scritto attestano che:

[v 21:24] “… noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”, implicito il concetto: - perché eravamo presenti e ne testimoniamo la veridicità -.

La frase conclusiva è dello stesso Autore:

[21:25] Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere

perché nessuno avrebbe osato aggiungere quel “penso”, che di fatto è una firma personale, su un documento così prezioso se non l’Autore stesso.

[21:20] Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: "Signore, chi è che ti tradisce?".

Anche in questo ennesimo caso si ha un riferimento ad un fatto già scritto riportato nel capitolo 13, ed insieme alla usuale ripetizione “amen, amen” del verso 18 ("In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo...") conferma che l’Autore del capitolo 21 è lo stesso di tutto il Vangelo di Giovanni.